Fantascienza: cosa leggere per iniziare

628 1024 Agenzia di Traduzioni - BW Traduzioni

Arduo risalire alla genesi, misurare influenze e contestualizzare apporti creativi e scientifici. I molti tentativi testimoniano la complessità dell’indagine, e anche la ricchezza sottesa a un genere che si abbevera al sublime e non si è mai sottratto alla volontà di stupire, di incollare il lettore alla pagina e all’immagine inconsueta. Origini di volta in volta accreditate dal cambiamento, dall’affacciarsi di un’era o di una sensibilità condivisa. La fantascienza “così come la conosciamo”, quindi, legata alla rivoluzione industriale, alla spinta data da fondamentali scoperte tecnologiche, come ad esempio l’invenzione della macchina a vapore o l’apertura dell’epopea del volo, con le prime ascensioni dei fratelli Montgolfier, nel 1783.

Un’ipotesi di paternità: in lingua inglese, il termine “science fiction” fu coniato da Hugo Gernsback, paladino del genere e suo promotore, che alla fine degli anni venti del novecento iniziò a identificare con questo nome le pubblicazioni che immetteva sul mercato.

Anticipatrice della “science fiction” (se si escludono gli annessi ispirativi datati primi dell’800) è di certo la caleidoscopica visione di Jules Verne, identificata dallo stesso con il termine di “voyages extraordinaires”. Allo scrittore francese (prodigo nell’incasellare delucidazioni scientifiche e geografiche) è possibile affiancare le “scientific romances” di H. R. Haggard, in Inghilterra, di A. Merritt negli Stati Uniti d’America, e alcuni anni più tardi le “scientific fantasies” di H. G. Wells. Le differenti classificazioni parrebbero reggersi su delle sfumature lessicali, ma in realtà ribadiscono l’intenzione di Gernsback di distanziarsi da una narrativa votata all’iperbole, creatrice di “sensazioni” soltanto vagamente verosimili.

Eppure dentro un gioco di scatole cinesi la fantascienza ricama una tela pressoché infinita, dove occhieggiano precursori, suggestioni antiche come il mondo e potenti come il mito, imperiose come l’hybris; basti pensare al gigante di metallo Talos apparso nelle Argonautiche di Apollonio Rodio (III secolo a. C.), al fatale Monte Magnetico nelle Mille e una notte, alla Storia Vera di Luciano di Samosata (120-180 d.C.), ricognizione sui territori lunari che possiede le peculiarità salienti del genere: il viaggio immaginifico alla scoperta di un corpo celeste e di una civiltà ai confini del pensiero.

Restringendo il campo, da svariate fonti viene fatta corrispondere l’emersione della fantascienza moderna alla pubblicazione (nel 1818) del romanzo “Frankestein” di Mary Shelley. Il coincidere delle teorie evoluzionistiche e delle tematiche espresse nella letteratura gotica (in quegli anni all’apice della popolarità) permise l’elaborazione della “teoria” Frankestein, frutto del genio di una superba scrittrice ma anche rivelazione di come il sovrannaturale andasse rielaborato alla luce degli studi di Erasmus Darwin e di alcuni fisiologi tedeschi suoi coevi. E l’irrompere dello straordinario nel reale è un meccanismo che ben padroneggia Edgar Allan Poe, altro fautore della metamorfosi e dell’inganno percettivo; in parallelo alle sue storie mozzafiato, imitate fino al midollo, si delinea la congiunzione fra la struttura del racconto breve e l’allestimento editoriale dei futuri pulp magazines (così chiamati per via del supporto su cui erano stampati, ovvero umile carta di giornale).

Narrativa popolare per palati curiosi, assetati di colpi di scena, tangenti al progresso e all’azzardo creativo: seminale fu la rivista “Amazing Stories” (1926), e le storie presentate ancora rientravano in una classificazione ibrida (scientifiction), successivamente sostituita da “science fiction”, termine collegato alla rivista di Hugo Gernsback “Science Wonder Stories”, edita a partire dal 1929. Oltreoceano altre riviste, invenzioni ardite e umanoidi così lontani così vicini. Agli albori le pubblicazioni di “Frank Reade” (creatura di E. S. Ellis), sorta di super-inventore in grado di solleticare il futuro e spalleggiare il presente, con universi paralleli e cibernetica in fieri. Esordio del fascicolo tascabile nel 1868, con l’episodio “The Steam Man of the Prairies”, che in copertina riportava il classico carro del Far West trainato da un meno classico uomo meccanico. La serie “Frank Reade” ebbe vita fino al 1913, proponendo, gloriosamente, più o meno duecento titoli, con a farla da padrone lo scrittore L. P. Senarens, il “Verne americano”, agile “penna” con una produttività pubblicistica smisurata (1500 le storie date alle stampe prima di essere cooptato, negli anni venti, dall’industria cinematografica di Hollywood).

Il “pianeta” fantascienza, con i molti satelliti a girargli intorno, ebbe una delle sue più energiche virate intorno agli anni ’40 del Novecento. Dal profluvio di esperienze, invasioni e fenomeni paranormali, gradualmente si passò a una concertazione più articolata, pur sempre fantasmagorica, che comprendeva riferimenti di matrice ideologica, ambientalista, e intenti di critica sociale. La denominazione “età dell’oro”, scelta per contestualizzare una tendenza, un magistero, risulta, agli osservatori odierni, esplicativa: miniera aurea, fruttifera, fu la rivista “Astounding Stories”, diretta magistralmente da John W. Campbell a partire dal 1937, che raccolse attorno a sé autori dotati di profondità e fervore innovativo (tra gli altri A. E. van Vogt, Isaac Asimov, Robert A. Heinlein, Clifford D. Simak, Ray Bradbury, Theodore Sturgeon).

Da ricordare, nella costellazione fantascientifica di quegli anni, l’apporto fondamentale di due autori capaci di predire e illuminare derive future, di siglare una dimensione letteraria in grado di affacciarsi sulla contemporaneità: parliamo di Aldous Huxley, che con “Il mondo nuovo”, edito nel 1932, ipotizzò un’umanità in balia della tecnica, e di George Orwell, creatore dell’agghiacciante e implacabile “1984” (pubblicato nel 1949), laboratorio per la moltiplicazione di generi, formulari politici e plausibili “grandi fratelli”.

Il conflitto mondiale fornì tensioni, accostò la realtà alla pirotecnica della creazione; perché armi e deliri soltanto presagiti diventarono bagliori, forme esplosive e polvere radioattiva a Hiroshima e Nagasaki. E nel dopoguerra, nelle schermaglie della Guerra Fredda, la “science fiction” acquisì un’ulteriore cittadinanza: in Italia (dal 1952) si iniziò a parlare di fantascienza grazie ai “Romanzi di Urania” editi da Mondadori, curati, in principio, dallo storico direttore Giorgio Monicelli. Residenza d’elezione della collana le edicole di città e paesi, per emulare lo spirito “battagliero” dei pulp magazines, per forgiare una pletora di affezionati capace di rinnovarsi di generazione in generazione. Consumo rapido, vorace, brividi e inquietudini, ma anche nel Bel Paese le potenzialità del genere (agganci sociologici, filosofici, politici) non rimasero lettera morta. E fu così che, soprattutto grazie a Franco Lucentini e a Carlo Fruttero, responsabili di Urania dal 1962, la fantascienza si accreditò (debitamente su rotte alternative e celesti) nei contesti letterari ufficiali.