Thriller scandinavi – autori e libri – cosa leggere

310 214 BW Traduzioni

L’onda scandinava del giallo è strettamente connessa alla Millennium Trilogy di Stieg Larsson, composta da “Uomini che odiano le donne”, “La ragazza che giocava con il fuoco” e “La regina dei castelli di carta.”

Si tratta di una narrazione dettata dall’indubbia qualità narrativa della serie, e avvalorata dallo strutturarsi – in una sorta di esotismo primigenio – di ambientazioni, temi e dinamiche affioranti dall’intreccio.

Nella prima decade del XI secolo Millennium avvampò nel panorama europeo, con riscontri di pubblico che ne decretarono l’ingresso nell’olimpo dei megasellers (in base ai dati più recenti la saga di Larsson ha venduto nel nostro paese 4 milioni e mezzo di copie, comprendendo i tre sequel firmati da David Lagercrantz).

Purtroppo Larsson – scomparso prematuramente nel 2004 – non poté rallegrarsi per il successo della serie con protagonista Lisbeth Salander, lasciando ai suoi successori – e ai precursori del genere, perlopiù sconosciuti al di fuori della penisola scandinava – il gusto di allestire e consolidare un filone fra i più riconoscibili (e redditizi) dell’editoria mondiale.

Cinque i giallisti (ma le gradazioni di colore tendono dal nero al blu notte) che a seguire assommiamo per approntare una compagine equilibrata, in grado di soddisfare il palato degli amanti del brivido, dei cieli rarefatti e delle lande sconfinate del Nord.

Camilla Lackberg

A prescindere dal titolo di “regina del giallo scandinavo” Camilla Lackberg è un punto di riferimento imprescindibile per chi vuole approcciarsi alla narrativa thriller.

Trame, ambientazioni e atmosfere producono dosi massicce di suspense, e unite al realismo, che agisce da filo conduttore, mantengono il lettore con il fiato sospeso fino all’ultima pagina.

La sua produzione soddisfa l’esigenza di chi chiede alla narrativa di sorprendere, di approfondire la conoscenza con protagonisti seriali, destinati a diventare veri e propri beniamini con le loro virtù e debolezze.

Lackberg, nella serie dei delitti di Fjällbacka, quella che l’ha fatta conoscere a livello internazionale, ha dato modo all’ispettore di polizia Patrik Hedström e alla scrittrice Erica Falck di indagare su omicidi efferati, il più delle volte perpetrati contro persone indifese, cogliendo la radice dell’odio all’interno di comunità e scenari all’apparenza idilliaci. Ed è importante sottolineare come la scrittrice svedese non si sia allontanata poi di molto dai suoi luoghi di origine per creare meccanismi delittuosi implacabili: Fjällbacka, sulla costa occidentale della Svezia, è la cittadina in cui è nata e cresciuta, e questa “familiarità” è una delle caratteristiche che rende le sue storie allo stesso tempo angoscianti e sufficientemente credibili.

In totale sono una ventina i titoli che compongono la bibliografia di Camilla Lackberg: tra loro ricordiamo il suo esordio, “La principessa di ghiaccio”, edito nel 2002 e vincitore del prestigioso Grand Prix de Littérature Policière, “Lo scalpellino”, migliore crime story del 2005 per l’Accademia svedese di libri gialli, “L’uccello del malaugurio” e “Il bambino segreto”, romanzi della definitiva consacrazione pubblicati in Italia nel 2012 e nel 2013.

Ma scrittrice da oltre venti milioni di copie vendute non è soltanto un’abile dispensatrice di incubi narrativi: tra le sue opere date alle stampe volumi di saggistica, di cucina e per l’infanzia, con una menzione particolare per “Donne che non perdonano” (2018), in cui viene trattato il tema della violenza domestica.

Henning Mankell

Henning Mankell (1948 – 2015) ha pubblicato il suo primo giallo a quarantatré anni, come se l’avvicinarsi alle storie di indagine richiedesse una sorta di apprendistato: e la “precedente vita” dello scrittore svedese non è stata di certo priva di esperienze e sfide importanti, che vanno dalla scrittura per il teatro all’attivismo politico.

Quest’ultimo aspetto del percorso di Mankell è particolarmente significativo, avendolo accompagnato con regolarità nel corso degli anni: poco più che ragazzo testimoniò contro la guerra in Vietnam e il colonialismo portoghese in Mozambico, dopodiché si fece portavoce del dramma dell’apartheid in Sudafrica e nel 2010 partecipò all’iniziativa Freedom Flotilla a favore del popolo palestinese.

Pertanto appare motivato, per meriti acquisiti sul campo, il titolo attribuitogli di maestro del giallo scandinavo, che è anche giustificato dalla profondità psicologica del suo protagonista simbolo, il commissario Kurt Wallander della polizia di Ystad, fulcro di quel sentimento che lo stesso Mankell identifica come “inquietudine svedese”.

Una dozzina i romanzi in cui è presente Wallander, utili a dipingere un ritratto multiforme, uno dei più riusciti della moderna narrativa di genere, espressione della fragilità che incrina rapporti ed equilibri sociali. Nello stato di diritto scandinavo un uomo solo lotta contro il crimine, ma anche contro una deriva che lo destabilizza, causata in prima istanza dall’individualismo, dalla corruzione e dal razzismo.

Le storie del commissario Wallander (edite dal 1991 al 2013) sono state tradotte in una quarantina di lingue e hanno venduto più di 20 milioni di libri in tutto il mondo. E accanto al suo ciclo di romanzi più conosciuto – da cui è stata tratta una serie televisiva con protagonista Kenneth Branagh – va annoverato un carnet letterario comprendente una ventina di opere, tra le quali l’autobiografia “Sabbie mobili” pubblicata nel 2015.

Maj Sjöwall

Nell’opera di Maj Sjöwall (1935 – 2020), come per Henning Mankell, il genere poliziesco assorbe e compatta tematiche politiche e di denuncia sociale. L’orizzonte è plumbeo, l’autorità statale si fa oppressiva, e anche nei gialli della scrittrice svedese un poliziotto, Martin Beck, diventa strumento di analisi delle contraddizioni di una nazione all’apparenza democratica e solidale.

Politica e letteratura, dissidenza e gusto per le trame criminali si intrecciano nella biografia di Maj Sjöwall: dopo gli studi in grafica e giornalismo intraprende la carriera di reporter e responsabile artistica di varie riviste, ed è nell’ambiente lavorativo che conosce, nel 1962, Per Wahlöö, giornalista e militante di estrema sinistra che solo pochi anni prima era stato espulso dalla Spagna franchista. Fra loro sboccia un sentimento amoroso, che perdurerà fino alla morte di Wahlöö nel 1975, e soprattutto si svilupperà una collaborazione professionale che darà vita alla serie con protagonista Martin Beck, sovrintendente e in seguito commissario della polizia di Stoccolma.

Il poliziotto, invischiato in un sistema di potere contraddistinto dalla burocrazia e dalla corruzione, emerge da uno stilema che aveva come punto di riferimento l’opera di giallisti classici come Agatha Christie e Ellery Queen. E il distacco da un’espressione consolidata, fatta di investigatori più o meno monodimensionali, contribuisce ad assegnare il ruolo di capiscuola a Maj Sjöwall e Per Wahlöö: la problematicità dei personaggi, la realtà perfettibile oltre i salotti dove viene sciolto l’intreccio delittuoso, apre a una nuova era del romanzo giallo europeo, il cui apice si realizzerà nel nouveau polar francese, con i capolavori di Jean-Patrick Manchette e, nel cinema, di Jean-Pierre Melville.

All’ispirazione dei due autori scandinavi concorre anche l’approccio con le crime stories statunitensi: a partire dagli anni 60 traducono, fra gli altri, i romanzi di Ed McBain, creatore della serie dell’87° Distretto e di figure di investigatori alle prese, oltreché con la criminalità di strada, con le proprie fragilità e afflizioni quotidiane.

Jo Nesbø

Nel 1997 Jo Nesbø pubblica il suo esordio letterario, “Flaggermusmannen” (“Il pipistrello”), primo libro della serie dedicata al rude e tormentato Harry Hole. Contro ogni previsione il romanzo ottiene un successo immediato: vince il Glass Key Award, premio riservato ai giallisti di Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia, e dà la possibilità all’autore norvegese di dedicarsi a tempo pieno alla scrittura.

Da quel fortunato esordio il poliziotto Harry Hole, esperto in assassini seriali, è comparso in una dozzina di romanzi, figurando costantemente fra i personaggi più iconici e amati del thriller europeo. Una serie epocale, cruenta e a tratti malinconica, che – oltre ad essere apprezzata dalla critica – ha prodotto all’incirca 9 milioni di copie vendute.

La personalità di Hole è complessa, e in parte ricalca quella dei grandi antieroi del noir e della narrativa poliziesca; non si cura delle ferite, esteriori e interiori, va dritto per la sua strada accollandosi la tentazione del male e lasciandosi alle spalle relazioni, parti di sé e litri di whisky Jim Beam.

Ma lo scrittore tradotto in più di 40 lingue nel corso degli anni si è rivelato anche un maestro di eclettismo: a parte gli inizi da calciatore (ha militato nel Molde, nella prima divisione norvegese) e da broker di borsa, la sua propensione verso il mondo dell’arte e della letteratura si è articolata attraverso le carriere di attore e musicista (ha pubblicato vari album con la band Di Derre, in qualità di cantante e chitarrista) e dando vita, nel 2007, a una collana per giovani lettrici e lettori esilarante, con protagonista il Dottor Prottor.

Fra gli ultimi libri pubblicati da Jo Nesbø – slegati dalle gesta del tenebroso Harry Hole – è doveroso segnalare “Macbeth” (2018), una rilettura postindustriale dell’opera shakespeariana, e “Il fratello” (2020), romanzo introspettivo e barbarico che sonda un’inquietante intreccio familiare.

Arnaldur Indriðason

Nel solco di una demitizzazione del welfare state scandinavo e di un’apologia rassicurante si muove la narrativa dell’islandese Arnaldur Indriðason, creatore del personaggio seriale Erlendur Sveinsson, commissario di polizia a Reykjavík.

Appare una costante, questa complessità rivelata, nella scrittura del Nord Europa e della costellazione globale noir, gialla, thriller o procedural che dir si voglia. È sostanziale, quindi, l’utilizzo del genere per sondare il volto impresentabile delle organizzazioni sociali, la prassi che relega la corruzione nell’oscurità delle menti, dei sobborghi e nelle stanze del potere.

Detective aspro, Erlendur Sveinsson, e la sua cocciutaggine, l’incapacità di assecondare i rituali della consuetudine, sono lo specchio di una visione alternativa e disincantata del mondo. La sua vita privata è bradisismica, incagliata nell’incomunicabilità che lo allontana sempre più dagli affetti, e che prova a riscattare con la dedizione al lavoro, con l’impeto di protezione verso gli ultimi. Le strade non mentono, i chiaroscuri della notte forniscono trame e situazioni limite, che nel caso di Indriðason si addensano in storie ben scritte, ricche di suspense, intrighi e ambientazioni accurate.

Una quindicina i titoli legati all’investigatore Erlendur Sveinsson – a partire da “I figli della polvere” pubblicato nel 1997 -, serie che ha permesso allo scrittore islandese (fra l’altro molto apprezzato da Andrea Camilleri) di essere tradotto in circa quaranta lingue. Numerosi, inoltre, i riconoscimenti letterari ottenuti da Indriðason: ha vinto due volte di seguito (nel 2002 e nel 2003) il premio Glasnyckeln, riservato ai migliori giallisti scandinavi, e il suo romanzo “Un caso archiviato” è stato inserito nella prestigiosa top ten “gialla” della rivista statunitense Publishers Weekly.


Disclaimer: Foto prese dal web. In qualsiasi momento è possibile richiederne rimozione