La disobbedienza civile | Henry D. Thoreau - Recensione

La disobbedienza civile | Henry D. Thoreau

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La disobbedienza civile | Henry D. Thoreau - RecensionePubblicato nel 1849, il saggio Disobbedienza civile rappresenta un caposaldo del pensiero politico e libertario; afferma la legittimità della disobbedienza civile come forma di opposizione al potere, e reclama la supremazia dell’individuo – della sua coscienza incardinata a un concetto irrinunciabile di giustizia – nei confronti di una sintesi normativa calata dall’alto.

Nello specifico Thoreau si riferisce al mantenimento dello schiavismo e alle politiche colonialiste nei territori messicani attuate dal governo americano. Alla luce di questi eventi – frutto di un “attrito” fra aspetti aspetti positivi e negativi del processo democratico – l’intellettuale prende decisamente posizione, mostrando come solo attraverso l’azione diretta sia possibile promuovere un cambiamento in nome del diritto naturale.

A uno Stato la cui popolazione è formata, per quasi il venti per cento, da schiavi e che costringe un paese confinante a sottomettersi alle sue mire espansionistiche, il cittadino Thoreau decide di non versare dei contributi già di per sé ritenuti iniqui (la tassa sul voto e una somma per il mantenimento di un religioso alle cui prediche non aveva mai assistito di persona).

Il libero arbitrio

Così facendo si assume la responsabilità del libero arbitrio, e poco conta che la l’inadempienza (tra l’altro sanata a sua insaputa) comporterà la condanna a un solo giorno di prigione. Il messaggio – il posizionamento in prima linea, nel cuore del rapporto Stato-Cittadino – vale più delle conseguenze accessorie, prospetta un ribaltamento della prospettiva politica nel senso di una partecipazione attiva del singolo individuo alla gestione della cosa pubblica. Il caso – o l’egemonia della maggioranza – non può stabilire aprioristicamente ciò che è opportuno, impedire all’uomo di valore di perorare una giusta causa.

Scrive Thoreau: “Deve sempre il cittadino – seppure per un istante e in minimo grado – abbandonare la propria coscienza nelle mani del legislatore? E allora perché ha una coscienza? Penso che dovremmo essere uomini prima di essere sudditi. Non è da augurarsi che l’uomo coltivi il rispetto per le leggi ma piuttosto che rispetti ciò che è giusto. Il solo obbligo che io ho il diritto di arrogarmi è di fare sempre ciò che credo giusto.”

Le idee e l’esempio di vita

Henry David Thoreau, con le sue opere e con le sue scelte di vita, scava profondamente nell’essenza delle organizzazioni sociali. Il suo pensiero è trascendentalista, inappagato dalla realtà visibile, dai supporti tecnologici che la amplificano e tentano di decifrarla.

L’uomo in quanto suddito viene confinato nei territori del plausibile, protetto dall’incommensurabilità della natura e del pensiero: a lui spetta il dovuto, che corrisponde a un rapporto fra benefici materiali e mitigazione della sovranità individuale. Pungolato dal proprio spirito Thoreau si permette di introdurre La disobbedienza civile con l’affermazione “il governo migliore è quello che governa meno”, a cui farebbe seguito, in una prospettata realizzazione delle proprie istanze, il convincimento che “il miglior governo è quello che non governa affatto”. La visione è per certi versi iperbolica, ma non se viene prefigurata la nascita di un cittadino nuovo, capace di riconoscersi in quanto forma e contenuto dinamico.

Una citazione

Si può parlare di rivoluzione interiore, niente affatto teorica, ipotetica, un cambio di rotta fatto di muscoli e pensiero: “L’azione in base ad un principio, – la percezione e l’attuazione del giusto, – cambia le cose ed i rapporti; essa è essenzialmente rivoluzionaria, e non si concilia del tutto con niente che esisteva prima. Essa non solo divide Stati e chiese, divide le famiglie; sì, divide l’individuo, separando ciò che è diabolico in lui dal divino.”

Fondamentale è percepire l’unicità, il costante richiamo a un’integrazione fra uomo e natura, a un’idea di respiro universale. In tal senso Henry David Thoreau sperimentò, mezzo secolo prima di Jack London, la completezza, la sostanza rivelatrice della privazione, di un’immersione integrale negli scenari incontaminati. Nella primavera del 1845, per dare corpo alle sue convinzioni filosofiche, abbandonò il mondo civilizzato per inoltrarsi in una zona boschiva nei pressi del lago di Walden, a Concord, nel Massachusetts.

Il capanno di Thoreau

Utilizzando un’ascia presa a prestito abbatté degli alberi per costruirsi una dimora frugale, che in seguito occupò per oltre due anni, a partire, in maniera stabile, dal 4 luglio, giorno in cui viene celebrata negli Stati Uniti la Dichiarazione d’Indipendenza. Da quell’impresa, dall’introspezione di un animo pienamente consapevole e in armonia con il creato, Thoreau trasse impulso per scrivere Walden, ovvero La vita nei boschi (1854), un libro a metà strada tra il saggio filosofico e il diario, unanimemente riconosciuto come uno dei classici della letteratura americana.

Quando l’esistenza si libera di ogni orpello, del superfluo divenuto identificazione e manipolazione, la natura autentica dell’uomo può finalmente esprimersi e sprigionare valore. La distanza – fisica, romantica, ma anche razionale – permette di uscire da un meccanismo calibrato sulla consonanza tra dominio e sottomissione. In tal senso Thoreau anela un essere umano integro, cosciente della propria singolarità, assertore di un progetto diffuso che trascende gli interessi di parte, la conformità acritica a un organismo precostituito (scrive Thoreau ne La disobbedienza civile: date il vostro voto intero, non solo un pezzo di carta, ma tutta la vostra influenza).

La solidità della ragione

La solidità della ragione, di un percorso di accertamento dei principi essenziali, può fare a meno della violenza, che in fin dei conti altro non è che un prodotto di scarto del potere, contemplato nei libri mastri del do ut des. Protesta sociale pacifica come parte della dialettica tra governanti e governati, seme piantato in un terreno la cui fecondità discende da un patto inviolabile in nome della verità. Un uomo saggio sarà utile soltanto come uomo, e non si sottometterà ad essere “argilla”: il messaggio è chiaro e induce a individuare la fonte dell’autodeterminazione dentro di sé, accanto agli altri.

Non vi sarà mai uno Stato realmente libero ed illuminato, finché lo Stato non giunga a riconoscere l’individuo come un potere più elevato ed indipendente, dal quale derivino tutto il suo potere e la sua autorità, e finché esso non lo tratti di conseguenza. Mi compiaccio di immaginare uno Stato che alla fine possa permettersi d’essere giusto con tutti gli uomini, e di trattare l’individuo con rispetto come un vicino; uno Stato che inoltre non consideri in contrasto con la propria tranquillità il fatto che pochi vivano in disparte, senza immischiarsi nei suoi affari e senza lasciarsene sopraffare, – individui che abbiano compiuto tutti i loro doveri di vicini e di esseri umani.